mercoledì 18 marzo 2020

IL QUARTO UOVO: RACCONTO BREVE POLITICAMENTE SCORRETTO


Questo racconto è stato pubblicato da "Babbomorto editore" di Antonio Castronuovo. A tiratura super limitata.


In una società che offre poche certezze, diventa fondamentale, se non altro, conoscere i propri polli. Ed io ho un grosso problema: ho quattro galline e tre uova al giorno, ergo una di loro non produce.
Il pollivendolo aveva assicurato che erano ovaiole e malgrado sia un uomo di poche parole non ho alcun motivo per dubitare della sua onestà intellettuale perché è lo stesso che aveva venduto le galline a mio padre e prima di lui a mio nonno e nessuno dei due ha mai lamentato carenze di vitamine. Oggi invece debbo constatare con mio enorme disappunto che la produzione di uova non è pari alla forza lavoro.
Essendo io un convinto democratico nonché signore, padrone e sindaco dell'appezzamento di terreno sul quale ho costruito il pollaio, per incentivarle ad una collaborazione con l'istituzione che rappresento avevo concesso ad ognuna di loro una delega assessoriale, e ovviamente, tutte, dietro mio disinteressato suggerimento hanno scelto la carica alle attività produttive.
Anche mio padre aveva fatto così, cioè aveva concesso ad ogni gallina un incarico politico e dopo alcuni anni di esperienza sul campo e di onorata produzione ovaiola dei suoi assessori, al grido di “Non siamo polli” lasciò la campagna per dedicarsi alla campagna elettorale candidandosi a sindaco nel Partito dei Lavoratori.
Non fu eletto perché i suoi compagni lo consideravano un nichilista e mia madre, che era una bolscevica convinta, votò il suo avversario adducendo come scusa il fatto che se fosse stato eletto nessuno si sarebbe occupato della terra, la produzione sarebbe crollata e ci saremmo trovati come ai tempi della grande depressione del 1929.
Mio nonno invece non si candidò mai perché per lui i polli erano semplicemente polli.
Forte dell’esperienza inversamente proporzionale fatta da mio nonno e poi da mio padre, anche io ho deciso di costruire un pollaio e avere le mie pollastre. All’interno ho costruito una bella mangiatoia, ho comprato due contenitori per l’acqua e mi sono fatto regalare dal fruttivendolo quattro cassette di legno per rendere agevole, oserei dire confortevole, la deposizione ovaiola. Il pollaio sembra un B&B a cinque stelle.
Malgrado tutte queste premure post moderne, una di loro non produce, non fa il suo dovere, mangia e beve a sbafo, si fa lunghe passeggiate in campagna e alla fine della giornata non contribuisce alla produzione.
E questo non lo trovo né giusto né onesto.
E' vero, come in ogni azienda o istituzione che si rispetti c'è chi lavora e chi no, chi contribuisce all'aumento del Pil e chi (come in questo caso) decide di mettere in atto una forma silenziosa di protesta, ma considerato che la mia unica richiesta di collaborazione alla squadra assessoriale era una produzione di uova uguale al numero di lavoratori, questo comportamento da fannullona, scansafatiche e lavativa di una di loro non solo non è giustificabile ma, inutile negarlo, danneggia gli altri tre compagni e mette in cattiva luce la mia democratica autorità di sindaco. Senza contare che in futuro, qualora il cattivo bipedo esempio perdurasse, potrebbero verificarsi casi di emulazione con conseguenze disastrose per tutto l'apparato.
E non si può dire che non ci abbia tentato!
Per sanare la situazione e portarla sui binari della normale normalità, ho tentato di instaurare un dialogo costruttivo basato su solidi, inconfutabili e fondamentali pensieri fisiologici che non valgono solo per l’essere galline ma per tutti i volatili, insomma, dogmi inconfutabili di aristotelica memoria. Ho cercato di motivarli e spingerli verso una sana assunzione di responsabilità, ho chiesto verso chi e per quale motivo si stava mettendo in atto questa pretestuosa protesta, ma finora i tentativi sono risultati vani come un appartamento sfitto.
Per rendere più confortevole il loro lavoro ho persino cambiato la fornitura dell’acqua da rubinetto con quella delle bottiglie di acqua minerale comprate al supermercato, il che, come facilmente intuibile, ha portato un aggravio non indifferente dei costi di gestione; ho ridotto l’ora di libertà campagnola solitamente usata per cercare vermetti e sassolini con un aumento della dose di mangime e aggiunta di un pizzico di peperoncino, ma il risultato non è cambiato: malgrado non debbano zampettare tutto il giorno alla ricerca di qualcosa da mangiare, come mendicanti sulla via francigena, sono sempre quattro galline e tre uova.
Ho persino considerato, in ultima analisi analizzata, la possibilità che tutto fosse riconducibile ad un eccessivo grado di timidezza di una di loro che la porterebbe a non produrre se non debitamente appartata quindi, dietro suggerimento di un mio amico che gestisce un pollaio di dimensioni industriali ho preso il vecchio paravento che mia madre teneva nella sua stanza e l’ho collocato in un angolo del pollaio. Niente da fare, non ha funzionato. Non voglio pensare, anzi lo escludo categoricamente che una di loro soffra di ansia da prestazione.
Dopo tutti questi tentativi andati a vuoto ho pensato di prendere il toro per le corna e convocare una riunione di Giunta, ma all’orario stabilito le ho trovate appollaiate, pronte al pisolino, poco inclini agli straordinari e per giunta tutte girate di spalle.
Per cui, l’unica soluzione che mi rimane, quella finale, è tirare il collo alla gallina che non ne vuol sapere di compiere il proprio dovere assessoriale. E considerato che fino ad oggi non ho potuto ricavarne un uovo, almeno ci ottengo un gustoso brodo di pollo.
Il dubbio è: quale delle quattro non fa l’uovo? Non posso tirare il collo alla prima gallina che incontro perché rischierei di ritrovarmi con tre galline e due uova, e poi con due galline e un uovo e infine con una gallina e nessun uovo, quindi la soppressione, o per meglio dire, il licenziamento forzato con trasferimento in pentola di uno degli assessori della mia giunta deve essere fatto con oculatezza e precisione chirurgica degna di un primario ospedaliero. Ma non un dottore qualsiasi, bensì uno che non sottovaluti il problema e non lo declassi ad aspetto secondario della crisi agricola ovaiola nazionale, ma prenda coscienza del fatto che, coscienziosamente non si può privare un sindaco (cioè io) di ciò che gli spetta di diritto: il completo e totale appoggio lavorativo della sua giunta.
Perché amici, è arrivato il momento di prendere atto della triste ma verace verità: non ci sono solo le pecore nere, esistono anche le galline politicizzate.
Un problema che dobbiamo risolvere!