sabato 5 dicembre 2020

YUKIO MISHIMA: L'ULTIMO SAMURAI


Yukio Mishima
è lo pseudonimo di Hiraoka Kimitake. Scrittore giapponese, autore di romanzi centrati sulla dicotomia fra i valori della tradizione e l'aridità spirituale del mondo contemporaneo. La sua prima opera, Confessioni di una maschera (1949) gli diede subito fama e successo. La popolarità andò ulteriormente consolidandosi con La voce delle onde (1954), Il padiglione d'oro (1956) e Il sapore della gloria (1963). 

In seguito, con la tetralogia Il mare della fertilità (1965-1971) Mishima affermò il valore della cultura del Giappone imperiale, criticando gli esiti del processo di modernizzazione del paese. Temi ricorrenti della sua produzione sono il mito della forza e dell'eroismo, l'erotismo, il legame inscindibile fra sensualità e violenza, tra bellezza e morte. 

Nella vita, Mishima volle incarnare questi ideali: nazionalista e conservatore, fondò la setta militare Tatenokai (Società dello scudo), basata sull'esaltazione della cultura fisica e delle arti marziali e pose fine ai suoi giorni con un clamoroso harakiri, ultima protesta contro la perdita di valori del Giappone moderno. Alla sua figura e alla sua opera è dedicato il film Mishima (1985) di Paul Schrader.

Questo, realizzato da Art.tv è un breve ma bellissimo documentario sullo scrittore che vi consiglio di vedere.

https://www.arte.tv/it/videos/085197-003-A/yukio-mishima-scrivere-fino-alla-morte/



venerdì 4 dicembre 2020

GLI SPAESATI DI ENZO D'ANTONA: IL RACCONTO DI UNA GENERAZIONE

 


Enzo D’antona
ha iniziato la sua carriera di giornalista alla redazione nissena del quotidiano “La Sicilia”. Nei primi anni Ottanta è cronista al giornale “L’Ora” di Palermo dove ci siamo conosciuti e dove è iniziata la nostra amicizia. 

Dal 1987 al 1997 ha lavorato a Milano, al settimanale “Il Mondo”, poi dal 2005 al 2009 è stato capo della redazione di Palermo di “la Repubblica” dove abbiamo ripreso la collaborazione, e caporedattore all’ufficio centrale di Roma. Ha diretto “la Città” di Salerno e “Il Piccolo” di Trieste.

Gli spaesati, edito da Zolfo https://www.zolfoeditore.it/scheda-libro/enzo-dantona/gli-spaesati-9788832206111-653.html,  è la storia di una generazione obbligata ad abbandonare un paese dell’entroterra siciliano. Ragazzi partiti tra gli anni Settanta e Novanta, diversi da quelli che con la valigia di cartone erano emigrati un quarto di secolo prima. Ragazzi “saliti” al Nord per fare gli operai metalmeccanici ma anche gli insegnanti, gli impiegati pubblici, i liberi professionisti. Diplomati o laureati che tuttavia subiscono una condizione permanente di spaesamento.
Anche per questi immigrati borghesi, l’integrazione al Nord è possibile solo a costo di rinunciare a pezzi della propria identità culturale. Un destino quasi inevitabile.
Così le vite di alcune persone che abitavano tutti nella stessa palazzina popolare del loro piccolo paese si ritrovano a Torino, Milano e Genova, incrociandosi tra loro a cavallo dei grandi mutamenti della società italiana. Un libro che racconta tante vicende ma una unica storia: le radici strappate, generazione dopo generazione. Un libro da leggere e da regalare.

martedì 10 novembre 2020

FRANCESCO DE GREGORI CANZONE PER CANZONE IN 700 PAGINE

 


Rimmel” è una canzone milanese,La storia” l’ha cantata per primo Gianni Morandi, “Il cuoco di Salò era una filastrocca per bambini, La donna cannone” inizialmente non doveva essere pubblicata, “Sempre e per sempre” ha portato al licenziamento di una ragazza, “Un gelato al limon” di Paolo Conte doveva far parte di “Viva l’Italia”, “Buonanotte fiorellino” non parla di un incidente aereo, “Bufalo Bill” aveva una strofa in più...

Queste e mille altre notizie, aneddoti, rivelazioni inedite si trovano in “Francesco De Gregori. I testi. La storia delle canzoni” a cura di Enrico Deregibus (Giunti editore), un volume di oltre 700 pagine, un’opera imponente, decisamente anomala nel panorama italiano.

Si tratta della continuazione di “Francesco De Gregori. Mi puoi leggere fino a tardi”, la corposa biografia del cantautore che Deregibus ha pubblicato nel 2015, sempre per Giunti. Il giornalista piemontese in questo nuovo volume si sofferma sulle canzoni, più di 200, che De Gregori ha inserito nei suoi dischi, con ampie e dettagliate schede che riservano molte sorprese anche a chi conosce bene l’artista romano. Ad accompagnarle, i testi di tutte le canzoni scritte da De Gregori, che li ha controllati e certificati in prima persona per evitare errori e refusi.

Il libro non nasce però con lo scopo di spiegare i testi, di interpretarli ma con la volontà di indagare le canzoni in tutte le loro componenti: parole, musica, arrangiamenti, interpretazione. E di raccontarne la nascita, le fonti, l’ispirazione, la scrittura, quello che è successo dopo l’uscita, le tante versioni del loro autore e quelle di altri.

Il tutto con centinaia e centinaia di dichiarazioni dello stesso De Gregori, tratte da interviste rilasciate dall’inizio degli anni Settanta a oggi e con complessivamente oltre mille documenti consultati.

DA BRUNORI A MANNARINO, DA ERICA MOU A DENTE: COMPIE DIECI ANNI “LA LEVA CANTAUTORALE DEGLI ANNI ZERO”

 

UN PROGETTO PROMOSSO NEL 2010 DA MEI, CLUB TENCO E ALA BIANCA, IDEATO E CURATO DA ENRICO DEREGIBUS: UN DOPPIO ALBUM, UN TOUR DI 15 DATE IN TUTTA ITALIA, UN SITO SU ROCKOL E LA PARTNERSHIP DI RAI RADIO2 PER VALORIZZARE UNA NUOVA GENERAZIONE DI CANTAUTORI


Era la fotografia del meglio della nuova canzone d’autore di inizio millennio. Si chiamava “La leva cantautorale degli anni Zero” e nasceva esattamente dieci anni fa, nel novembre 2010, per valorizzare una scena musicale che stava muovendo i primi passi, una nuova generazione di artisti che andava da Mannarino a Brunori Sas, da Erica Mou a Dente e a molti altri. Trentasei in tutto.

Un progetto che comprendeva un doppio album con loro canzoni inedite pubblicato da Ala Bianca, un tour di una quindicina di date in importanti luoghi e rassegne, un sito dedicato e varie altre iniziative promozionali e artistiche proseguite sino all’ottobre 2011.

Metteva insieme trentasei artisti molto diversi uno dall’altro fra i quali : la Banda Elastica Pellizza, Brunori Sas, Roberta Carrieri, Cordepazze, Dente, Roberta Di Lorenzo, Simona Gretchen, Jang Senato, Samuel Katarro, Patrizia Laquidara, Mannarino, Erica Mou, Nobraino, Paolo Simoni, Zibba.

La leva cantautorale degli anni Zero” era stata ideata e curata da Enrico Deregibus con la direzione artistica di Enrico de Angelis per il Club Tenco e Giordano Sangiorgi per il Mei, la produzione di Toni Verona per Ala Bianca, i media-partner Rockol e Radio 2 Rai. Una iniziativa che ha avuto riscontri notevoli, che è diventata un modo di dire, che ha solcato l’Italia per un anno ed ha lasciato tracce in quelli successivi.

mercoledì 21 ottobre 2020

SULLA TERRA: NUOVO LAVORO DISCOGRAFICO DI DAVIDE TOSCHES

 


Musicista polistrumentista, Davide Tosches registra nel 2006 il CD autoprodotto “Stressmog!” al quale seguono “Dove l’erba è alta” (2009), “Il lento disgelo” (2012) e “Luci della città distante” (2014). In questi anni ha collaborato con molti artisti della scena musicale italiana e internazionale sia in qualità di musicista che di illustratore, fotografo e grafico. Le sue canzoni trattano quasi sempre temi legati alla natura, mantenendo però le distanze da qualsiasi facile retorica ambientalista. “Sulla terra” è il quarto album nato con un pianoforte degli anni venti, un quaderno per scrivere i testi e la voglia di cantare come mai prima. In seguito, dichiara Tosches, ho scritto le parti di tutti gli altri strumenti, ad eccezione di quasi tutte le parti di archi scritte insieme ad Andrea Ruggiero.

Avevo voglia di sentire queste canzoni da molti anni, avevo voglia di rimettere le mani sul piano che è il mio strumento più di ogni altro. Sono tutte canzoni d'amore, anche se non so veramente bene che cosa voglia dire, perché parliamo di uno degli argomenti più banali, importanti e complessi del mondo e in realtà forse tutte le canzoni che sono state scritte sono canzoni d'amore in un modo o nell'altro”.

Questo disco è per Davide Toches un nuovo inizio per tanti motivi, sono canzoni molto diverse dal passato ma sono sempre “cariche di quella ostinazione di dover dare un'opportunità al suono delle parole”.

Sulla terra” è stato scritto, prodotto, arrangiato e registrato da Davide Tosches al "Confine del bosco" di, Cavagnolo in provincia di Torino. Arrangiamenti di archi di Andrea Ruggiero e Davide Tosches  tranne:“Pioggia”, “Stelle nascoste” e “La terra emersa”, arrangiati dallo stesso Davide Tosches, arrangiamento e direzione coro su "Pioggia (abbazia)" di Cosimo Morleo. Il disco è stato mixato e masterizzato da Gianluca Patrito al G-Effect Mastering, di Torino. 


Davide Tosches. A sei anni di distanza dalle luci della città distante esce questo nuovo album. Quasi un nuovo inizio.

Direi proprio di sì, quasi un nuovo inizio, questo disco è stato composto al pianoforte e così sono stato obbligato a cantare diversamente e arrangiare diversamente. Tutte le cose che ho composto al piano in passato non le ho mai pubblicate perché all'epoca non sapevo come arrangiarle, credevo che il piano dovesse essere per forza molto presente, invece non è necessario. Certo, c'è molto pianoforte ma ha quasi sempre l'importanza di tutti gli altri strumenti. In questi sei anni ho fatto altre cose a livello musicale, avevo un disco quasi pronto, poi l'ho lasciato da parte perché era un po' troppo pesante, sono diciotto brani ed è abbastanza sperimentale e dilatato, ma prima o poi lo farò uscire. Poi ho ancora composto una colonna sonora per il documentario “Accanto scorre il fiume” di Marco Leone, che invece sarà pubblicata a breve, spero già a febbraio.


Cosa vuol dire, dare un'opportunità al suono delle parole?

Ho sempre cercato di far funzionare i testi sulla musica scrivendo liberamente, con meno rime possibili. Non che non mi piacciano le canzoni in rima, ma a me piace proprio partire dal suono delle parole, tante mie canzoni nascono così, magari proprio con una parola o due che canto e ricanto finché non succede qualcosa che mi intriga a livello sonoro e così poi vado avanti a vedere cosa succede, è un viaggio. Niente di innovativo o così strano ovviamente, ma per ora è la sola strada che mi interessa, poi si vedrà, sono sempre in evoluzione, sono molto curioso per mia natura.


Non pensi che le canzoni d'amore siano fuori moda? E che cos'è una canzone d'amore?

Fuori moda non saprei, sicuramente oggi si tende di più a nascondere i sentimenti un po' in tutta l'arte e così inevitabilmente ci nascondiamo pure noi, sia artisti che ascoltatori. Oggi si cerca molto il sensazionalismo, la roba originale fine a sé stessa, la “figata”, qualcosa che faccia “hype”, ma in realtà non c'è niente di più originale della verità, della propria visione personale del mondo. La natura ce lo insegna tutti i giorni: ogni tramonto è diverso, ogni frutto, seppur della stessa pianta, è diverso. I miei spartiti sono albe e tramonti, alberi e suoni del bosco, la pioggia, il vento, la vita insomma.


Sulla terra è un disco auto prodotto. Questo rende il musicista più libero di esprimersi e esteticamente l'arte rimane una prigione con delle regole ben precise?

Sì, ho prodotto il disco completamente, l'ho anche registrato nel mio studio, sono stato autore, arrangiatore, fonico e musicista, questa volta avevo necessità di avere tutto sotto controllo ed è stata un'esperienza che mi ha strutturato molto. Se non si è liberi di esprimersi non si può arrivare a realizzare opere d'arte, credo. Regole nell'arte ce ne sono per forza, ma sono quattro in croce e poi quando parti per questo viaggio in questa terra senza confini che è la creatività devi vedere cosa succede sul percorso e quindi adattarti, sognare, soffrire, gioire, sbagliare strada e magari metterti in pericolo come in tutti gli altri viaggi.


Quanto è difficile oggi presentare un nuovo lavoro?

Te lo dirò meglio fra un po' di settimane, dalla pubblicazione di “Luci della città distante” sono passati sei anni e sono cambiate molte cose a livello tecnologico che hanno cambiato il mondo della musica ma anche quello editoriale e di conseguenza le abitudini delle persone. Per ora c'è abbastanza attenzione riguardo questo nuovo lavoro per fortuna, ma è anche il quarto disco, quindi un pochino si vive di rendita perché sono già nell'ambiente. Comunque cercherò di fare del mio meglio, ovviamente.


giovedì 8 ottobre 2020

IL VENDITORE DI ATTIMI: CONTINUA IL SUCCESSO DI QUESTO LIBRO


 Lo potremmo definire come un incentivo alla lettura e al ricordo dei romanzi che più abbiamo amato, e che ora fanno bella mostra di sé nelle nostre librerie. 

Se la società odierna potesse contare su perfetti sconosciuti che sapessero metterci sulla retta via, sostenendoci moralmente e facendoci comprendere la differenza fra il baratro e il valore del dono della vita, l’uomo sarebbe al sicuro. Ma purtroppo, questi “buoni samaritani” che sempre cerchiamo, sembrano non esistere. Come si evince dalle pagine di questo breve romanzo, “il venditore di attimi” altri non è che un’idea, ovvero il tempo che intercorre fra il dire e il fare. 

L’istante esatto in cui ciò che è pensiero diventa azione. L’attimo in cui prendiamo una decisione è fondamentale per la nostra esistenza, perché da lì non si torna più indietro.

 Eppure, nessuno sembra dare importanza a questo momento preciso, allorquando un pensiero si realizza.

Come acquistare una copia:

https://www.amazon.it/venditore-attimi-Nuova-edizione/dp/1977046819



giovedì 3 settembre 2020

Nicolò Gallo, la scuola, l'estetica e i quattro canti di Palermo

 


Se passate da “I quattro canti di città” di Palermo e vi soffermate a guardare, vi accorgerete subito che la costruzione è composti da quattro ordini: ai piedi le fontane che rappresentano i fiumi che anticamente bagnavano la città, (Oreto, Pannaria, Kemonia, Papireto), nell'ordine inferiore vi sono quattro statue che rappresentano le stagioni, in quello mediano le statue dei Vicerè spagnoli Carlo V  e Filippo II, III e IV e in quello superiore le quattro sante palermitane, Cristina, Oliva, Agata e Ninfa, ognuna protettrice del quartiere che ha alle spalle.

Ma sulle epigrafi che ancora oggi adornano la costruzione di Piazza Vigliena, troverete gli scritti di un giovane studente universitario agrigentino, Nicolò Gallo, composte in occasione della presa di Roma nel 1870. Se poi volete conoscere le sue idee sull’etica e sulla morale, basta leggere il romanzo di Luigi Pirandello “L’esclusa”.

Nel libro, lo scrittore siciliano racconta di una giovane donna accusata di adulterio e, come tale, privata dei suoi diritti sociali. Sarà il deputato e amante Gregorio Alvignani che cercherà di aiutarla, lottando contro i pregiudizi dell’epoca, per farle ottenere l’insegnamento in una scuola elementare.  Se la storia raccontata da Pirandello sia veramente accaduta non ci sono prove certe, ma gli studiosi dello scrittore agrigentino concordano nel vedere in Nicolò Gallo il deputato descritto nel romanzo.

Ma chi era quest'uomo che, già da studente universitario aveva fama di intellettuale al punto da essere “immortalato” nei quattro canti della città di Palermo?

Nicolò Gallo nacque ad Agrigento il 10 agosto 1849. Trasferitosi a Palermo per gli studi universitari, nel 1871 si laurea in giurisprudenza con una tesi sulla “Genesi dell’idea del diritto”. Fu in quel periodo, da studente universitario che cominciò ad aderire ai gruppi studenteschi e alle idee del Risorgimento italiano, e sempre in quel periodo alla massoneria dove creò una “società di istruzione” con lo scopo di chiedere al Governo scuole serali e servizi sociali per il popolo. Ritornato ad Agrigento cominciò ad esercitare la professione di avvocato senza tralasciare il suo interesse per la letteratura e la politica. Eletto per la prima volta come consigliere provinciale nel 1877 nelle file del partito liberal-progressista, venne poi eletto deputato nella XV legislatura e riconfermato in tutte le successive legislature sino al 1907, anno della morte. Milita sempre nelle file della Sinistra storica e rimane fedele al suo primo programma politico auspicandone un suffragio popolare che comunque, non arriverà mai, e prende più volte posizione contro il trasformismo politico, chiedendo con forza un assetto razionale delle parti politiche.

Si deve al Gallo il riordino delle Belle Arti, e un nuovo assetto al Ministero ed alle scuole, e sempre a lui il rafforzamento della libertà d'insegnamento dei maestri elementari che a quel tempo dipendevano direttamente dalle amministrazioni locali. Il progetto di legge non fu approvato, ma mise in risalto una questione da risolvere per l’Italia post-unitaria. E per certi versi, con la riforma Moratti, ancora oggi aperta.

 Adesso (mori a Roma il 7 marzo del 1907) pochi lo ricordano, eppure, per quanto dimenticato, nella sua vita politica e letteraria ha affrontato problemi che ancora oggi affliggono i Ministri della Pubblica Istruzione, ha chiesto con forza un’etica della Politica, e combattuto il trasformismo che allora, come oggi, caratterizzava l'attività politica dei deputati. Tutti problemi che, nella confusione della politica attuale, non sono stati pienamente risolti.

Basti pensare che fu proprio come Ministro dell’istruzione, nel 1901, che si trovò a fronteggiare il primo vero sciopero della scuola italiana che contestava una disposizione del Ministero, il quale circoscriveva drasticamente la facoltà degli insegnanti di integrare lo stipendio con le lezioni private. Ma Nicolò Gallo, sebbene sia conosciuto per la sua notevole attività politica, poco si sa sul suo contributo letterario ed in particolar modo, all’Estetica, se non per uno studio pubblicato da Ignazio Filippi per il “Centro internazionale di studi di Estetica”. Anche se le idee fondamentali del suo pensiero artistico e letterario si possono cogliere nella prolusione al corso di Estetica tenuto nell'Università di Roma come libero docente nel 1885.

martedì 12 maggio 2020

MAGGIO DEI LIBRI 2020: IL TEMPO E LA POESIA DI BRECHT


Continuano gli appuntamenti di #SciaccaLibriinFesta con la rubrica PROVA D’AUTORE!
Protagonista, per questa nuova puntata, sarà il giornalista e scrittore saccense, Accursio Soldano!
🔴12 Maggio alle 17.00.
Accursio Soldano è nato a Sciacca nel 1957.
Si è laureato alla facoltà di Filosofia dell’Università di Palermo con una tesi su Lenny Bruce.
Giornalista, ha iniziato con il quotidiano L’Ora di Palermo, collaborato con La Repubblica e Tele Radio Sciacca.
Ha pubblicato il romanzo “Il venditore di attimi” Graphofeel ed. (dal quale è stata tratta una commedia), “Aspettando Mr. Wolf” Ed. Graphofeel; “La maledizione dell’abbazia di Thelema” Ed. Leucotea; il saggio storico “Giuseppe Bellanca e i pionieri sulle macchine volanti” Ed. Epsylon; e “A viagem a Sicilia de Alberto Caeiro” Ed. Ler Devagar.
Ha inoltre pubblicato il racconto “Il quarto uovo” Babbomorto editore e la raccolta di testi teatrali “Commedie e altri incidenti” Aulino editore.
Il suo è un contributo è su Bertholt Brecht e il Tempo.

venerdì 3 aprile 2020

LA TROMBA DI DAVIDE TOSCHES UNISCE I POPOLI





In questi giorni di quarantena forzata (che alla fine diventerà una cinquantena e magari questa estate non andremo al mare, la gente usa i social in maniera, oserei dire spropositata. Gente che mette un post ogni venti minuti, non perché abbia novità da comunicare, ma semplicemente per sentirsi vivo e segnalare ai suoi amici facebucchiani che esiste.
Io, dal canto mio continuo ad essere isolato e a gironzolare per casa. Ancora non sono arrivato al punto da contare i passi, quando inizierò a farlo comincerò a preoccuparmi per il mio stato di salute mentale. Al momento mi tengo impegnato cucinando quel che capita e quando mi faccio prendere dal sentimentalismo telefono ad amici e parenti.
«Ciao nonna, sono io, come stai?»
«Come le vecchiette, come vuoi che stia»
«Ti ho disturbato, cosa stavi facendo?»
«Niente figlio mio, stavo guardando la televisione, guardavo Il segreto»
«Ah, quella soap opera spagnola? E come va?»
«Va che qui, con questo virus, moriamo tutti prima che finiscano le puntate e non sappiamo come va a finire la storia»
Lasciando da parte le telefonate e guardando i post nella bacheca di facebook ci si accorge che, rispetto a qualche mese fa, sono aumentati a dismisura, e quasi tutti con un unico monotono, logorroico argomento (state a casa). 
Perché i post su facebook dipendono dal momento sociale e i loro autori, come personaggi in cerca d'autore di Pirandelliana memoria si ergono a esperti in qualsiasi campo del sapere e non sapere umano. Nella maggior parte dei casi li trovo ridicoli, alcuni li definirei populisti, scritti solo per avere un like, altri simpatici, molti autoreferenziali. 
In pochi utilizzano i social per puro divertimento e in questi casi, non prendendosi troppo sul serio, i post hanno il sapore della genialità. Uno di questi geni è Davide Tosches.
Musicista, cantautore (vi consiglio di ascoltare i suoi CD) illustratore, collaboratore di altri musicisti, è (ovviamente) convinto che la musica unisce i popoli. E quale miglior popolo di quello facebucchiano! 
Ed allora, armato di occhiali con montatura rossa e di una tromba, inserisce ogni giorno i suoi “tentativi” di suonarla. 
All'aperto, in cucina, in garage, in mezzo ai boschi, sopra il tetto, da solo al tramonto o in compagnia di due banane (a caso) o del suo asino. 
Una performance al giorno, con esiti che… beh, bisogna ascoltare per capire. Posso solo dire che, fino ad oggi, il 22esimo giorno (a caso) sembrava che le sue performance fossero migliorate, ma poi è andato via via a peggiorare (per fortuna).
Insomma, se siete ancora convinti che la musica non unisca i popoli, e che non si possano usare i social in maniera intelligente, ascoltate (e guardate) le performance trombali di Tosches. 
Un genio!




http://davidetosches.com/

lunedì 23 marzo 2020

L'ARMAMENTARIO CULINARIO AI TEMPI DEL CORONAVIRUS

Mi piace stare a casa. Certo, mi piacerebbe starci per diletto, perché ne ho voglia, per ascoltare musica o leggere un libro, e non per costrizione imposta da un minuscolo virus cinese che ha deciso di farsi il giro del mondo senza passaporto. Ma a volte, non tutto ciò che piace fare si fa per piacere.
Sto da solo. Ho deciso di mandare moglie e figlia dai miei suoceri pensionati perché il mio lavoro di giornalista mi impone di incontrare gente, e se devo portare a casa qualche ospite indesiderato preferisco che non ci sia nessuno a riceverlo. Sono sicuro che l'ospite non si offenderà se dovrà accontentarsi solo della mia compagnia. Che poi non è male, sono simpatico, ironico al punto giusto, faccio conversazione con una buona capacità di linguaggio, ho un ottimo e vario vocabolario e conosco a memoria tutte le canzoni degli Smiths.
Se proprio vogliamo trovare un difetto (che comunque non reputo tale), sono astemio, non bevo birra, vino e alcolici di ogni tipo e gradazione, e se vogliamo insistere nel trovare il pelo nell'uovo, non so cucinare molto bene. So fare le uova al tegamino, la solita pasta con sugo di pomodoro (imbottigliato e comprato al supermercato) e i tortellini con panna e prosciutto.
In conclusione, posso affermare senza ombra di dubbio che non potrei partecipare ad un concorso per aspiranti chef ma andrei forte in un reality di sopravvivenza estrema senza per questo dover stare quaranta giorni nel deserto.
Insomma, sto qui, da solo, approdato in questa mia Itaca senza Penelope per colpa di un microrganismo acellulare che non spiccica una parola di italiano circondato da pentole e padelle e solo adesso, andando in esplorazione solitaria mi accorgo che in casa abbiamo una quantità spropositata di arnesi per la cucina. Ho contato tre scolapasta, sei pentole di ogni forma, grandezza e profondità con relativo coperchio, cinque padelle, un servizio di dodici piatti fondi, piani e piattini, dieci bicchieri (forse due si sono rotti) e una quantità spropositata di cucchiai, forchette, palette, spatole e coltelli. Non oso aprire il forno ma dal vetro esterno vedo un bel po' di teglie una sull'altra da fare invidia ad una rosticceria.
A che serve tutto questo armamentario culinario? Ci sono più padelle che Proci, e se ci fossero, se la mia casa fosse invasa da parassiti che aspirano a prendere possesso della mia cucina li potrei affrontare e sconfiggere senza paura. Metterei uno dei tre scolapasta in testa (quello in alluminio), un coperchio come scudo e una paletta in legno come spada, e se qualcuno, nella lotta, riuscisse a disarmarmi, non avrei che da allungare la mano e afferrare uno di quei nove pezzi in legno duro di faggio infilati nel portamestolo di bambù poggiato accanto al lavandino oppure uno degli undici pezzi in silicone con manico di legno ad alta tolleranza al calore che mia moglie ha comprato chissà quando e se ne stanno tranquilli, ancora incellofanati, accanto ad un frullatore su una mensola della cucina; con tutte queste armi a disposizione posso tranquillamente affermare che sono armato e pericoloso come Don Chisciotte!
Ma non è questo il caso, per mia fortuna, la cucina non è invasa da centootto giovanotti che aspirano a mangiare i miei spaghetti al pomodoro, e il frullatore, sebbene faccia la sua parte, non somiglia ad un mulino a vento, quindi che io sia Ulisse o l'ingegnoso cavaliere Alonso Chisciano, dovrò rimboccarmi le maniche e prepararmi da mangiare con gli ingredienti che ho a disposizione. Da solo!

mercoledì 18 marzo 2020

IL QUARTO UOVO: RACCONTO BREVE POLITICAMENTE SCORRETTO


Questo racconto è stato pubblicato da "Babbomorto editore" di Antonio Castronuovo. A tiratura super limitata.


In una società che offre poche certezze, diventa fondamentale, se non altro, conoscere i propri polli. Ed io ho un grosso problema: ho quattro galline e tre uova al giorno, ergo una di loro non produce.
Il pollivendolo aveva assicurato che erano ovaiole e malgrado sia un uomo di poche parole non ho alcun motivo per dubitare della sua onestà intellettuale perché è lo stesso che aveva venduto le galline a mio padre e prima di lui a mio nonno e nessuno dei due ha mai lamentato carenze di vitamine. Oggi invece debbo constatare con mio enorme disappunto che la produzione di uova non è pari alla forza lavoro.
Essendo io un convinto democratico nonché signore, padrone e sindaco dell'appezzamento di terreno sul quale ho costruito il pollaio, per incentivarle ad una collaborazione con l'istituzione che rappresento avevo concesso ad ognuna di loro una delega assessoriale, e ovviamente, tutte, dietro mio disinteressato suggerimento hanno scelto la carica alle attività produttive.
Anche mio padre aveva fatto così, cioè aveva concesso ad ogni gallina un incarico politico e dopo alcuni anni di esperienza sul campo e di onorata produzione ovaiola dei suoi assessori, al grido di “Non siamo polli” lasciò la campagna per dedicarsi alla campagna elettorale candidandosi a sindaco nel Partito dei Lavoratori.
Non fu eletto perché i suoi compagni lo consideravano un nichilista e mia madre, che era una bolscevica convinta, votò il suo avversario adducendo come scusa il fatto che se fosse stato eletto nessuno si sarebbe occupato della terra, la produzione sarebbe crollata e ci saremmo trovati come ai tempi della grande depressione del 1929.
Mio nonno invece non si candidò mai perché per lui i polli erano semplicemente polli.
Forte dell’esperienza inversamente proporzionale fatta da mio nonno e poi da mio padre, anche io ho deciso di costruire un pollaio e avere le mie pollastre. All’interno ho costruito una bella mangiatoia, ho comprato due contenitori per l’acqua e mi sono fatto regalare dal fruttivendolo quattro cassette di legno per rendere agevole, oserei dire confortevole, la deposizione ovaiola. Il pollaio sembra un B&B a cinque stelle.
Malgrado tutte queste premure post moderne, una di loro non produce, non fa il suo dovere, mangia e beve a sbafo, si fa lunghe passeggiate in campagna e alla fine della giornata non contribuisce alla produzione.
E questo non lo trovo né giusto né onesto.
E' vero, come in ogni azienda o istituzione che si rispetti c'è chi lavora e chi no, chi contribuisce all'aumento del Pil e chi (come in questo caso) decide di mettere in atto una forma silenziosa di protesta, ma considerato che la mia unica richiesta di collaborazione alla squadra assessoriale era una produzione di uova uguale al numero di lavoratori, questo comportamento da fannullona, scansafatiche e lavativa di una di loro non solo non è giustificabile ma, inutile negarlo, danneggia gli altri tre compagni e mette in cattiva luce la mia democratica autorità di sindaco. Senza contare che in futuro, qualora il cattivo bipedo esempio perdurasse, potrebbero verificarsi casi di emulazione con conseguenze disastrose per tutto l'apparato.
E non si può dire che non ci abbia tentato!
Per sanare la situazione e portarla sui binari della normale normalità, ho tentato di instaurare un dialogo costruttivo basato su solidi, inconfutabili e fondamentali pensieri fisiologici che non valgono solo per l’essere galline ma per tutti i volatili, insomma, dogmi inconfutabili di aristotelica memoria. Ho cercato di motivarli e spingerli verso una sana assunzione di responsabilità, ho chiesto verso chi e per quale motivo si stava mettendo in atto questa pretestuosa protesta, ma finora i tentativi sono risultati vani come un appartamento sfitto.
Per rendere più confortevole il loro lavoro ho persino cambiato la fornitura dell’acqua da rubinetto con quella delle bottiglie di acqua minerale comprate al supermercato, il che, come facilmente intuibile, ha portato un aggravio non indifferente dei costi di gestione; ho ridotto l’ora di libertà campagnola solitamente usata per cercare vermetti e sassolini con un aumento della dose di mangime e aggiunta di un pizzico di peperoncino, ma il risultato non è cambiato: malgrado non debbano zampettare tutto il giorno alla ricerca di qualcosa da mangiare, come mendicanti sulla via francigena, sono sempre quattro galline e tre uova.
Ho persino considerato, in ultima analisi analizzata, la possibilità che tutto fosse riconducibile ad un eccessivo grado di timidezza di una di loro che la porterebbe a non produrre se non debitamente appartata quindi, dietro suggerimento di un mio amico che gestisce un pollaio di dimensioni industriali ho preso il vecchio paravento che mia madre teneva nella sua stanza e l’ho collocato in un angolo del pollaio. Niente da fare, non ha funzionato. Non voglio pensare, anzi lo escludo categoricamente che una di loro soffra di ansia da prestazione.
Dopo tutti questi tentativi andati a vuoto ho pensato di prendere il toro per le corna e convocare una riunione di Giunta, ma all’orario stabilito le ho trovate appollaiate, pronte al pisolino, poco inclini agli straordinari e per giunta tutte girate di spalle.
Per cui, l’unica soluzione che mi rimane, quella finale, è tirare il collo alla gallina che non ne vuol sapere di compiere il proprio dovere assessoriale. E considerato che fino ad oggi non ho potuto ricavarne un uovo, almeno ci ottengo un gustoso brodo di pollo.
Il dubbio è: quale delle quattro non fa l’uovo? Non posso tirare il collo alla prima gallina che incontro perché rischierei di ritrovarmi con tre galline e due uova, e poi con due galline e un uovo e infine con una gallina e nessun uovo, quindi la soppressione, o per meglio dire, il licenziamento forzato con trasferimento in pentola di uno degli assessori della mia giunta deve essere fatto con oculatezza e precisione chirurgica degna di un primario ospedaliero. Ma non un dottore qualsiasi, bensì uno che non sottovaluti il problema e non lo declassi ad aspetto secondario della crisi agricola ovaiola nazionale, ma prenda coscienza del fatto che, coscienziosamente non si può privare un sindaco (cioè io) di ciò che gli spetta di diritto: il completo e totale appoggio lavorativo della sua giunta.
Perché amici, è arrivato il momento di prendere atto della triste ma verace verità: non ci sono solo le pecore nere, esistono anche le galline politicizzate.
Un problema che dobbiamo risolvere!