venerdì 3 giugno 2011

PICCOLO QUESITO... CHI CI RICORDA?

Vorrei proporre un piccolo quesito. Leggendo queste poche righe, la descrizione di quello che avviene vi ricorda qualcosa?

 Sapete qual è la cosa più buffa che un uomo può fare? Finanziare la costruzione di una mongolfiera e chiedere a qualcuno di andarsene in giro per il mondo per poi descriverglielo. Johann, che avevo conosciuto quando abitava a Lipsia, fece questo. Illustrò la sua idea ad un suo amico, un certo Giannozzo, un briccone patentato che aveva conosciuto anni addietro durante lo svolgimento di un processo nella città di Abdera. Ovviamente il tizio non se lo fece ripetere due volte, e in una bella giornata di primavera buttò la zavorra e si librò in aria. Oltre alla mongolfiera fornì al suo aeronauta un piccolo corno da postiglione, un binocolo da guerra e un quaderno dove annotare tutto quello che ritenesse utile: come un diario di bordo. D'altronde, sebbene l'idea di girare il mondo in mongolfiera gli sembrasse strana, sicuramente non superava in assurdità quello che era accaduto agli Abderiti. E poi, vuoi mettere la gioia ineffabile di essere una specie di fantasma?
Ma forse è meglio che vi racconti tutto dall’inizio.
Johann e sua moglie Karoline abitavano a Bayreuth. Più che abitare diciamo che si erano ritirati in quella piccola città sul ramo rosso del Meno dopo la morte del loro unico figlio. Capirete che quella, per loro, era stata una grande perdita. Quando arrivai mi accolse Karoline perché il mio amico, ormai cieco, passava gran parte della giornata seduto sulla sua sedia a dondolo davanti al camino. La prima cosa che notai entrando fu la gran quantità di maiolica e ceramica disseminata per la casa. Sul camino, negli scaffali della libreria, sul tavolo, persino poggiate per terra. Mi disse che le aveva comprate in una fabbrica del paese e pregò Karoline di mostrarmi una serie di pezzi dipinti da un certo Lowenfinck, messi in bella mostra sul camino. Doveva essere un pittore famoso, perché Johann ne era particolarmente orgoglioso. E poggiati su un grande tavolo al centro della stanza c'erano vasi e candelieri con decorazioni cinesi. Alcuni di essi mostravano intrecci e giochi pittorici di notevole fattura. Bevemmo un the in una di quelle tazze di ceramica colorata e venni a sapere del viaggio di Giannozzo.
E’ proprio vero, mi disse mostrandomi un vecchio quaderno con la copertina nera che teneva sulle gambe, visti dall’alto, la nostra opinione sulle cose e su noi stessi, cambia. Le differenze svaniscono, diventiamo piccole formiche. Secondo quanto aveva scritto Giannozzo nel suo diario, che Johann aveva ascoltato tante volte dalla calda voce di sua moglie e che ormai conosceva a memoria, le nostre città, per chi vede dall’alto, appaiono come banchi di ostriche abitate da figurine, e noi siamo semplici comparse in una rappresentazione teatrale, provinciali senza spirito né religione. Presumo, aggiunse, che, mentre noi cerchiamo affannosamente di uscire dalla mediocrità, anche Dio ci vede così: piccoli e insignificanti. Questa considerazione lo rattristò, ma ancor di più lo rattristava la morte di Giannozzo che precipitò durante un temporale. Per lo schianto al suolo la mongolfiera prese fuoco. Lo ritrovarono poco distante con il viso bruciato e gli arti spezzati, pare fosse quasi irriconoscibile. Ma per fortuna il diario si era salvato, e adesso se lo teneva stretto fra le mani. A trovare il corpo di Giannozzo fu un amico comune, tale Graul che conoscendo tutta la storia portò a Johann quello che lui stesso definì il giornale di bordo di Giannozzo.
-Il mio amico è veramente morto? Chiede Johann.
Graul annuì porgendogli il quaderno
-Raccontami cosa hai visto, era proprio lui?
E Graul raccontò. Il temporale infuriava in modo terribile e molto vicino a terra, precipitando giù dall’alto insieme al Reno. Io e alcuni altri sentimmo effettivamente un suono strano, non armonioso, isolato, tagliente, provenire dall’oscura volta delle nubi. Poi quest’ul-tima fu squarciata dal fragore di uno schianto. Poco lontano da noi volò giù su un prato il pallone sfracellato e la navicella che vi era appesa. Riconobbi immediatamente il mio caro amico. Il suo braccio destro e la bocca erano stazzati via, il corno in parte fuso, i suoi sopraccigli, un tempo così lunghi ed alti sopra gli occhi erano bruciati, spariti, la faccia aveva una smorfia di profonda rabbia; tutto il resto era intatto.
Johann prese il quaderno, ringraziò l’amico e scoppiò a piangere. Quel diario, che avrebbe letto e riletto mille volte, era l’unico ricordo del suo amico che volando a tremilacinquecento piedi di altezza, aveva scoperto dentro tutti i vari teatri della vita, contemporaneamente in attività e a sipario alzato, la bellezza del particolare. E aveva ammirato il salto dei cervi e dei caprioli e il volo dei falchi. E mi venne in mente il mio amico Jan. Anche lui, un tempo, prima che Alfonso partisse per la Spagna aveva visto il mondo dall'alto di una mongolfiera. Quel giorno capii che la vita è un continuo ripetersi di situazioni e di eventi. E che c'è sempre, per ogni cosa, una prospettiva diversa.
Johann continuava a sorseggiare il suo the. E mi invitò a rimanere per la notte.
-Ti voglio raccontare cosa ho visto da cieco -mi disse, ed io non potei rifiutare.  

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