Ho visto i lavori di Sal Cat che sono esposti da alcuni giorni nel Centro
d’arte Temporaneo che si trova in piazzetta Purgatorio.
Scrivo “lavori” perché
credo che il termine “opere” sia troppo abusato. Ormai tutti fanno “opere” come
se la loro produzione (artistica, musicale, teatrale, poetica) meriterebbe di essere
tramandata ai posteri; io non lo credo, anzi, molte volte mi sono chiesto chi
ha convinto o quale strano meccanismo sia scattato nella mente di certi
soggetti affinché mettessero in pubblico le loro “opere”.
E siccome per questi
ho uno spontaneo rigetto, scrivendo di Sal Cat parlerò di “lavori”.
La mostra si chiama “cicatrici”. Non voglio tediare chi leggerà questo
articolo con lo spiegare quale significato possa avere questo termine, ma
chiarire perché trovo interessanti i lavori di Catanzaro. Non tanto per l’uso
di vari materiali (questo lo abbiamo visto in tanti altri lavori) non tanto per
l’uso dei colori che già di per sé potrebbero essere il tratto distintivo di un
artista né tanto meno per l’uso dei chiodi a “segnare” le cicatrici sulla tela,
ma per l’Idea stessa di rappresentare la separazione, la distanza o l’unione,
con un oggetto (il chiodo) che nell’immaginario collettivo rappresenta qualcosa
di doloroso (i chiodi cantati nel venerdì santo quando affondano nella carne
dell’uomo sulla croce) e di contro, qualcosa di “semplicemente” utile (per
appendere un quadro).
Visitando la mostra ho avuto una sensazione strana. Per la prima volta dopo
tanti anni mi è tornato in mente un saggio di Martin Heidegger (In cammino
verso il linguaggio) e la spiegazione che il filosofo tedesco dava ad una
frase (una sola frase) di una poesia di Georg Trakl.
La frase diceva “Il dolore ha pietrificato la soglia” che letta
così, “semplicemente” potrebbe essere una conseguenza, un rimanere pietrificati
da un inaspettato evento doloroso, ovvero il dolore pietrifica tutto ciò
che il dolore stesso ha colpito, ma ad una più attenta analisi linguistica
risulta chiaro che evoca un fatto già accaduto, qualcosa che dovrebbe appartenere
al passato ma che come una “cicatrice” è presente e ben visibile nella soglia
davanti casa.
Che essa sia vista dall’interno o dall’esterno, testimonia il
dolore.
E siccome
ogni dolore lascia una “cicatrice” che il tempo (malgrado gli sforzi che potremo
fare) potrà solo affievolire ma mai coprire completamente, mi sono chiesto da
quale prospettiva Sal Cat guardava il mondo mentre sistemava i suoi “chiodi” al
centro della sua personale “scena”.
Si trovava all’interno della casa,
impossibilitato come gli invitati di “L’angelo
sterminatore” di Bunuel ad uscire? Oppure si trovava all’esterno? E se
fosse stato fuori, sarebbe stato capace di entrare?
Ecco l’uso
dei chiodi nei lavori di Sal Cat messi lì a dividere e al tempo stesso unire
due superfici, due colori, due anime, mi ha fatto ricordare che puoi cercare di
unire le due parti di uno stesso lavoro, ma non sempre hai la fortuna di avere
una prospettiva privilegiata, e se non sei nelle condizioni di poter scegliere
il posto giusto da dove osservare o “parlare” l’importante è trovare qualcosa
(un chiodo) o qualcuno (una persona) che riesca a unire le due anime.
A quel
punto, la soglia sarà solo un passaggio verso l’oltre. O per dirla con Heidegger, un cammino verso il linguaggio.
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