"Tutto il mondo - scrive Erving Goffman- "non è, naturalmente un palcoscenico,
ma i caratteri decisivi per cui non lo è non sono facilmente specificabili".
Come a dire che tutto il mondo non è teatro, ma quella parte che non ci appare
teatrale, non possiamo dire che effettivamente non lo sia. Insomma, tutti
recitano fino a quando non si dimostra che qualcuno non lo faccia.
Per Goffman quindi, ogni
comportamento umano ha un forte carattere di performance. Egli dice: «L'incapacità di un comune individuo di dire
in anticipo quali sono i movimenti degli occhi e del corpo adatti alla parte,
non significa che egli non sappia esprimersi per mezzo di questi accorgimenti in
una maniera drammatica e precostituita del suo repertorio».
Per farla breve, tutti recitano
meglio di quanto pensino di farlo. I dettagli delle espressioni e dei movimenti
usati non provengono da un copione, ma dalla padronanza di un linguaggio, che
viene esercitata di momento in momento, con scarso calcolo o premeditazione.
La
differenza quindi, tra una recitazione prettamente teatrale ed un normale
comportamento di un essere vivente, sta nella consapevole intenzione dichiarata
di recitare. Persino il nostro “Esserci”, può essere considerato un momento
recitativo. Partire dalla quotidianità e prendere atto che l’Esserci si trova
dinanzi ad una serie di possibilità non tutte realizzate, significa aver chiaro
il concetto che quel che conta è poter essere. Essere-con, o meglio,
essere-tra.
Per consentire all’Esserci
di manifestarsi, secondo Heidegger, bisogna rivolgersi a lui nel suo modo di
darsi nella sua quotidianità. E cogliere tale caratteristica, quella di
poter essere, è scoprire che la sua essenza è data dall’esistenza, nel suo
essere-per, nel rapportarsi a delle possibilità e nel tendere verso la propria
realizzazione. Uno dei modi che abbiamo per rapportarci
con gli altri, per uscire dall’anonimato che ci opprime è il linguaggio, in
tutte le sue forme. Fra queste, la parola scritta, quella che molti usano quando tentano di scrivere un libro considerandolo un
capolavoro a priori o un racconto o una poesia. E di libri brutti, pubblicati da piccoli editori ma anche di famosi, ce ne sono parecchi. Ma un blogger con 10 mila like vende più di un buon libro scritto da un bravo autore e anche la cultura ha bisogno del pane quotidiano.
Per essere felici e non perdere tempo, molti aspiranti scrittori (ma anche alcuni già famosi) dovrebbero prendere esempio e fare come Fernando Pessoa. Arrivare a concepire la frase perfetta e, di
conseguenza, non pubblicare mai un libro.
Il che sarebbe meglio per tutti. Ma quale anonimo scrittore rinuncerebbe mai ai 15 minuti di gloria, ai like, agli autografi e all'articolo sul giornale in nome dell'Estetica?
Nessun commento:
Posta un commento