Ho
letto il libro di Anna Rollando “Applaudire con i piedi” edito
dalla Graphofeel, casa editrice romana con la quale ho iniziato la
mia ancora breve carriera di scrittore.
Potrei
chiudere questa recensione qui, perché considerati gli anni in cui
ho tentato di arrivare alla fine di un libro, leggerlo per intero è
già una gran cosa. E ci ho tentato, ho comprato di tutto e iniziato
a leggere di tutto (in verità, solo romanzi, ma quelli con una bella
copertina, un titolo accattivamente e magari con qualche super premio
in bella vista) ma la mia libreria (purtroppo) è contrassegnata da
variopinti segnalibri infilati dentro storie lacrimevoli, gente
depressa, oppressa e mal messa, donne alla ricerca di identità e di
amori, piene di sogni spezzati malandati e ritrovati nelle pagine di
Liala, uomini cattivi e altri ancor più cattivi (ma in fondo buoni)
che ritrovano l’amore come i super eroi trovano i cattivi. E
segnalibri dentro una fessura di una montagna rocciosa e nella tana
del bianconiglio di colline affettate, ammantate, lavate e ricoperte
di rifugi e pecore che neanche il nonno di Heidi possedeva. Insomma,
più che una libreria sembra un arcobaleno di segnalibri infilati chi
a pagina 30 chi a pagina 65 chi addirittura a pagina 100 (e questo è
quello che mi ha annoiato di meno).
L’ultimo
libro che avevo letto per intero era stato “La scopa del sistema”
di Wallace (ma questa è un'altra storia) e adesso, anche se non è
un cosiddetto romanzo, questo “Applaudire con i piedi” di Anna
Rollando. (Applausi).
Credo
che la conoscenza del senso estetico di Fernando Pessoa mi abbia
“rovinato” le letture. Perché se è vero (ed è vero) che
“scrivere è una presa di posizione fra due idee”, la maggior
parte degli scrittori di oggi mette su carta la prima ideuzza che gli
passa per la mente e ci ricava una storia con un lui, una lei e
magari qualche altro che (malgrado gli sforzi, le sofferenze e gli
occhiali da vista nuovi) non riesci ad arrivare alla fine perché
già, dopo 30 pagine sai come finisce, e ti sei annoiato così tanto
a leggere le disgrazie altrui che le tue sembrano gioie della vita.
“Applaudire
con i piedi” non è un romanzo e nemmeno un saggio, si potrebbe
definire un dialogo sulla musica fra la Rollando e chi legge. Un
dialogo che inizia con un “Ciao, mi chiamo Anna e suono la viola”
e l’altro, con il libro in mano risponde: “Ciao, piacere di
conoscerti, vediamo che hai da dire” e finisce (manco a farlo
apposta) con la spiegazione di cos’è un virtuosismo, ovvero la
necessità (in tempi antichi, ma anche no!) di stupire il pubblico.
Il
libro, si legge in quarta di copertina, “si propone come una guida
semplice per chi intende accostarsi alla musica classica” ma in
realtà è una serie di domande alle quali la Rollando risponde con
esempi semplici che persino un amante delle canzoni melodiche
napoletane può capire. (con tutto il rispetto per i melodici
napoletani e nessuno per il tizio che passa con la sua auto
stereotizzata sotto la tua finestra con le casse a tutto volume e ti
fa sentire il nuovo successo dell'insuccesso melodico).
Ma
cos'è che spinge a non chiudere il libro della Rollando prima della
fine? Manco a farlo apposta è un sostantivo femminile: la curiosità.
Leggendolo, o sarebbe meglio dire, ascoltandolo, non si sa mai quali
conoscenze nuove faremo nel prossimo capitolo. Conoscenze, segreti e
curiosità della musica “colta” che vengono svelati e che ti
fanno riascoltare Tom Waits in maniera diversa, Lakme di Delibes
tutto per intero e rimettere nello stereo quel cd delle sorelle Katia
e Marielle Labéque dedicato a Erik Satie che da anni non ascoltavi
più.
E
questo, assieme al fatto che arrivi alla fine del libro, credo sia un
successo.
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