CAPITOLO I
(parte seconda)
Più che una vera Abbazia, che a primo acchito può far
pensare alla presenza di preti o di suore dediti alla vita monastica alla
preghiera e all’agricoltura biologica, quella costruzione immersa in mezzo agli
olivi era una casa ad un solo piano, costruita in pietra con mura spesse
dipinte di bianco ed il tetto fatto con tegole di colore rosso. Di proprietà
del Barone Carlo La Calce, grazie ai buoni uffici di Don Giosuè, un vecchio
sensale che gestiva un piccolo negozio in centro, molti anni addietro era stata
affittata ad un distinto signore inglese che un giorno di fine marzo arrivò in
paese in compagnia di una donna e due bambini. Chi fossero in realtà quegli stranieri,
i paesani lo scoprirono alcuni anni più tardi quando i carabinieri si
presentarono con un ordine di sgombero firmato da Benito Mussolini e li
cacciarono via.
Ma per il barone La Calce, quei due erano Sir Alastor de
Kerval e la Contessa Leah Harcourt.
Almeno così c’era scritto nel contratto d’affitto.
Di quella
vicenda, così come di altri accadimenti della sua vita, nonna Peppina non ne
aveva mai parlato con nessuno tranne che con sua nipote Rosalia, e una sera
d’estate, stanca delle insistenze della ragazzina che voleva conoscere sempre
nuove storie, gli raccontò della piccola Poupée e di come la vita in quella
piccola casa di contrada Santa Barbara, dal giorno della morte di quella
bambina cambiò radicalmente.
Non era una bella storia e nonna Peppina non la ricordava
volentieri, ma gliela raccontò.
La piccola Poupée
arrivò a Cefalù che era ancora in fasce la mattina di mercoledì 14 aprile del
1920 insieme ad una giovane donna ben vestita e gentile nei modi che mostrava
orgogliosamente il pancione. Aveva i capelli
neri corti, le labbra piccole e serrate e scese a fatica dal treno
tenendola in braccio avvolta in una piccola coperta bianca e stringendola al
petto quasi come a proteggerla dagli sguardi indiscreti dei paesani. Al loro
arrivo c'era ad accoglierle quello che tutti conoscevano come Sir Alastor de
Kerval che sorridendo diede un bacio sulla guancia alla donna e prese con se la
bambina. Poi si incamminarono su per la salita che li avrebbe portati all'Abbazia
dove ad attenderli c'era la contessa Leah Harcourt che aveva preparato il
pranzo.
Di Poupée, delle
due donne e dei bambini per qualche mese non si seppe più niente, ma in paese
erano tutti convinti che quelle femmine erano due prostitute con le quali
quell'uomo andava a letto a piacimento.
Non si ebbero notizie fino a quando lo stesso Sir Alastor
una mattina di maggio, alla buon'ora, scese in paese per spedire un telegramma
ad un noto medico di Napoli chiedendogli di inviargli un farmaco. Solo allora
si seppe che quella bambina scesa dal treno in braccio alla madre stava poco
bene e peggiorava ogni giorno di più senza che nessuno riuscisse a trovare un
rimedio. E d'altronde si poteva fare ben poco per salvare dalla morte una bimba
che non riusciva ad assorbire quel poco che mangiava e che lentamente si stava
consumando. Soprattutto se nessun dottore andava a visitarla ed era vietato
persino avvicinarsi a quella casa.
I vecchi del
paese, che grazie all'impiegato delle poste erano venuti a conoscenza della
tragica situazione in cui si trovava quella famiglia che abitava in contrada
Santa Barbara non si lasciarono scappare l'occasione per mettere in mostra le
loro conoscenze in fatto di medicinali e rimedi naturali, ma quando uno di
loro, un pecoraio che pascolava le sue pecore vicino al cimitero asserì di aver
visto quell'uomo consultare un vecchio libro ingiallito in cui c'erano
raffigurati strani disegni e recitare incomprensibili riti magici, cominciarono
a credere che la maledizione di Dio fosse caduta su quella famiglia e in quella
casa e che per quella povera creatura non ci sarebbe stato niente da fare.
Questa convinzione
si rafforzò ancor di più nei giorni a venire quando il 14 ottobre videro
scendere dal treno quella stessa donna che mesi prima era arrivata con la bimba
in braccio. Stavolta era sola ed aveva gli occhi lucidi. Ci volle poco a capire
che la medicina arrivata da Napoli non aveva sortito alcun effetto e che la
piccola Poupée era deceduta in un lettino dell'ospedale di Palermo dove giorni
prima era stata ricoverata.
In verità ai
paesani non interessava molto dello stato di salute di quella strana gente,
anzi erano abbastanza contrariati dal fatto che se ne stessero sempre rinchiusi
in quella casa di campagna e non dessero confidenza a chicchessia. Questo
strano modo di comportarsi li faceva apparire eccentrici e pericolosi, roba da
non averci niente a che fare.
Ma se è vero che senza una testimonianza diretta nessuno
poté mai affermare con certezza cosa accadde in quei giorni dentro quelle
stanze ciò non impedì loro di formulare ipotesi e lasciarsi andare alle più
fantasiose teorie. Di una cosa erano sicuri: la morte della piccola aveva
portato lo scompiglio in quella strana famiglia perché la madre, forse per
gelosia o perché ne era veramente convinta, diede la colpa di quel decesso a
quell'altra donna che abitava assieme a loro accusandola di avere esercitato
delle terribili stregonerie non solo per far morire la bambina ma anche per
farla abortire del figlio che portava in grembo....
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