Mi piace stare a casa.
Certo, mi piacerebbe starci per diletto, perché ne ho voglia, per
ascoltare musica o leggere un libro, e non per costrizione imposta da
un minuscolo virus cinese che ha deciso di farsi il giro del mondo
senza passaporto.
Ma
a volte, non tutto ciò che piace fare si fa per piacere.
Sto da solo. Ho deciso di mandare moglie e figlia dai
miei suoceri pensionati perché il mio lavoro di giornalista mi
impone di incontrare gente, e se devo portare a casa qualche ospite
indesiderato preferisco che non ci sia nessuno a riceverlo. Sono
sicuro che l'ospite
non si offenderà se dovrà accontentarsi solo della mia compagnia.
Che poi non è male, sono simpatico, ironico al punto giusto, faccio
conversazione con una buona capacità di linguaggio, ho un ottimo e
vario vocabolario e conosco a memoria tutte le canzoni degli Smiths.
Se proprio vogliamo trovare un difetto (che comunque non
reputo tale), sono astemio, non bevo birra, vino e alcolici di ogni
tipo e gradazione, e se vogliamo insistere nel trovare il pelo
nell'uovo,
non so cucinare molto bene.
So fare le uova al tegamino,
la solita pasta con sugo di
pomodoro (imbottigliato e comprato al supermercato) e i tortellini
con panna e prosciutto.
In conclusione, posso affermare senza ombra di dubbio
che non potrei partecipare ad un concorso per aspiranti chef ma
andrei forte in un reality di sopravvivenza estrema senza per questo
dover stare quaranta giorni nel deserto.
Insomma, sto qui, da solo, approdato in questa mia Itaca
senza Penelope per colpa di un microrganismo acellulare che
non spiccica una parola di italiano circondato da pentole e padelle e
solo adesso, andando in esplorazione solitaria mi accorgo che in casa
abbiamo una quantità spropositata di arnesi per la cucina. Ho
contato tre scolapasta, sei pentole di ogni forma, grandezza e
profondità con relativo coperchio, cinque padelle, un servizio di
dodici piatti fondi, piani e piattini, dieci bicchieri (forse due si
sono rotti) e una quantità spropositata di cucchiai, forchette,
palette, spatole e coltelli. Non oso aprire il forno ma dal vetro
esterno vedo un bel po' di teglie una sull'altra
da fare invidia ad una rosticceria.
A che serve tutto questo armamentario culinario?
Ci sono più
padelle che Proci, e se ci fossero, se la mia casa fosse invasa da
parassiti che aspirano a prendere possesso della mia cucina li potrei
affrontare e sconfiggere senza paura. Metterei uno dei tre scolapasta
in testa (quello in alluminio), un coperchio come scudo e una paletta
in legno come spada, e se qualcuno, nella lotta, riuscisse a
disarmarmi, non avrei che da allungare la mano e afferrare uno di
quei nove pezzi in legno duro di faggio infilati nel portamestolo di
bambù
poggiato accanto al lavandino oppure uno
degli undici pezzi in silicone con manico di legno ad alta tolleranza
al calore che
mia moglie ha comprato chissà quando e se ne stanno tranquilli,
ancora incellofanati, accanto ad un frullatore su una mensola della
cucina; con tutte queste armi a disposizione posso tranquillamente
affermare che sono armato e pericoloso come Don Chisciotte!
Ma
non è questo il caso, per mia fortuna, la cucina non è invasa da
centootto giovanotti che aspirano a mangiare i miei spaghetti al
pomodoro, e il frullatore, sebbene faccia la sua parte, non somiglia
ad un mulino a vento, quindi che io sia Ulisse o l'ingegnoso
cavaliere Alonso Chisciano, dovrò rimboccarmi le maniche e
prepararmi da mangiare con gli
ingredienti che ho a disposizione. Da solo!
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