lunedì 23 marzo 2020

L'ARMAMENTARIO CULINARIO AI TEMPI DEL CORONAVIRUS

Mi piace stare a casa. Certo, mi piacerebbe starci per diletto, perché ne ho voglia, per ascoltare musica o leggere un libro, e non per costrizione imposta da un minuscolo virus cinese che ha deciso di farsi il giro del mondo senza passaporto. Ma a volte, non tutto ciò che piace fare si fa per piacere.
Sto da solo. Ho deciso di mandare moglie e figlia dai miei suoceri pensionati perché il mio lavoro di giornalista mi impone di incontrare gente, e se devo portare a casa qualche ospite indesiderato preferisco che non ci sia nessuno a riceverlo. Sono sicuro che l'ospite non si offenderà se dovrà accontentarsi solo della mia compagnia. Che poi non è male, sono simpatico, ironico al punto giusto, faccio conversazione con una buona capacità di linguaggio, ho un ottimo e vario vocabolario e conosco a memoria tutte le canzoni degli Smiths.
Se proprio vogliamo trovare un difetto (che comunque non reputo tale), sono astemio, non bevo birra, vino e alcolici di ogni tipo e gradazione, e se vogliamo insistere nel trovare il pelo nell'uovo, non so cucinare molto bene. So fare le uova al tegamino, la solita pasta con sugo di pomodoro (imbottigliato e comprato al supermercato) e i tortellini con panna e prosciutto.
In conclusione, posso affermare senza ombra di dubbio che non potrei partecipare ad un concorso per aspiranti chef ma andrei forte in un reality di sopravvivenza estrema senza per questo dover stare quaranta giorni nel deserto.
Insomma, sto qui, da solo, approdato in questa mia Itaca senza Penelope per colpa di un microrganismo acellulare che non spiccica una parola di italiano circondato da pentole e padelle e solo adesso, andando in esplorazione solitaria mi accorgo che in casa abbiamo una quantità spropositata di arnesi per la cucina. Ho contato tre scolapasta, sei pentole di ogni forma, grandezza e profondità con relativo coperchio, cinque padelle, un servizio di dodici piatti fondi, piani e piattini, dieci bicchieri (forse due si sono rotti) e una quantità spropositata di cucchiai, forchette, palette, spatole e coltelli. Non oso aprire il forno ma dal vetro esterno vedo un bel po' di teglie una sull'altra da fare invidia ad una rosticceria.
A che serve tutto questo armamentario culinario? Ci sono più padelle che Proci, e se ci fossero, se la mia casa fosse invasa da parassiti che aspirano a prendere possesso della mia cucina li potrei affrontare e sconfiggere senza paura. Metterei uno dei tre scolapasta in testa (quello in alluminio), un coperchio come scudo e una paletta in legno come spada, e se qualcuno, nella lotta, riuscisse a disarmarmi, non avrei che da allungare la mano e afferrare uno di quei nove pezzi in legno duro di faggio infilati nel portamestolo di bambù poggiato accanto al lavandino oppure uno degli undici pezzi in silicone con manico di legno ad alta tolleranza al calore che mia moglie ha comprato chissà quando e se ne stanno tranquilli, ancora incellofanati, accanto ad un frullatore su una mensola della cucina; con tutte queste armi a disposizione posso tranquillamente affermare che sono armato e pericoloso come Don Chisciotte!
Ma non è questo il caso, per mia fortuna, la cucina non è invasa da centootto giovanotti che aspirano a mangiare i miei spaghetti al pomodoro, e il frullatore, sebbene faccia la sua parte, non somiglia ad un mulino a vento, quindi che io sia Ulisse o l'ingegnoso cavaliere Alonso Chisciano, dovrò rimboccarmi le maniche e prepararmi da mangiare con gli ingredienti che ho a disposizione. Da solo!

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